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Synthesis (La Plata)
Print version ISSN 0328-1205On-line version ISSN 1851-779X
Synthesis (La Plata) vol.22 La Plata Dec. 2015
ARTÍCULOS
La donna diavolo nella grecia antica: Lamia, Circe, Empusa e le stagioni della vita umana
Olimpia Imperio*
UniversitÍ degli Studi di Bari
olimpia.imperio@uniba.i
Italia
Resumen
El objetivo de este trabajo es investigar la historia de la monstruosidad femenina en la literatura griega antigua para recuperar algunas estructuras arquetípicas de pensamiento que se ocupan de la antigua y moderna conciencia colectiva sobre el problema del mal, su naturaleza, sus razones y también su falta de razones. De este modo yo repasé las "vidas paralelas" de tres famosas mujeres fatales de la mitología clÍsica que, colocadas en puntos decisivos de Írboles genealógicos horribles llenas de 'maldiciones genéticas', son capaces de formar un tríptico bien definido de "medallones" enmarcados por un fil rouge de la monstruosidad ininterrumpida. ParadigmÍtico de la dialéctica ambigua entre hombre-mujer, bien-mal, víctima-verdugo, normalidad-desviación, y de las dinÍmicas incontrolables entre los crímenes y los castigos, miedos ancestrales y deseo de descubrimiento, demonios buenos y malos, los mitos de Lamia, Circe y Empusa destacan la atracción irracional que, en la cultura griega antigua, tan racionalista, las personificaciones femeninas del mal son imaginadas moviéndose, con el fin de influir en la conducta humana en las principales etapas de la vida.
Palabras Clave: Monstruosidad femenina; Lamia; Circe; Empusa.
Abstract
Aim of this paper is to investigate the history of female monstrosity in ancient Greek literature in order to recover some archetypal structures of thought concerned with ancient and modern collective consciousness on the evilâs problem, its nature, its reasons and also its absence of reasons. So, I retrace the âparallel livesâ of three famous femmes fatales of classic mythology that, placed at turning points of horrific genealogical trees full of âgenetic cursesâ, are able to form a well defined triptyque of âmedallionsâ framed by a fil rouge of uninterrupted monstrosity. Paradigmatic of the ambiguous dialectics between male-female, right-evil, victim-executioner, normality-deviance, and of the uncontrollable dynamics between crimes and punishments, ancestral fears and wish of discovery, good and bad demons, the myths of Lamia, Circe and Empusa highlight the irrational attraction that, in the ancient, so rationalistic, Greek culture, feminine personifications of evil are imagined to move, so as to influence human behaviour in the main seasons of life.
Keywords: Female monstrosity; Lamia; Circe; Empusa.
Molti terribili flagelli la terra nutre, e gli abbracci del mare pullulano di mostri nemici ai mortali; e fiamme sospese tra cielo e terra solcano lâaria, e ogni creatura che vola o che cammina sulla terra potrebbe narrare del furore ventoso delle tempeste. Ma chi mai potrebbe descrivere lo smisurato ardire del volere di un uomo, e le passioni sfrenate nel cuore di donne temerarie e senza scrupoli, compagne alle sventure dei mortali? Lâamore efferato,1 che domina la mente femminile,2 travolge i gioghi dei vincoli familiari tra le fiere come pure tra gli uomini.
Questa Priamel, che apre il primo stasimo delle Coefore di Eschilo (vv. 585ss.) racchiude una delle pi͹ celebri esternazioni delle paure dellâuomo verso le devianze e la consapevole distruttivitÍ della sessualitÍ femminile:3 molti âdice qui il coroâ sono gli orrori del mondo naturale, ma nessuno ͨ cosͬ tremendo e indicibile come quelli del mondo umano, sommo tra i quali ͨ il caso della femmina che ha la meglio sul maschio, e in particolare della moglie che sopprime deliberatamente il marito. E anche il catalogo degli esempi che occupa le successive coppie strofiche ͨ a sua volta strutturato a Priamel, con una evidente climax logica: dalla storia di Altea (madre che uccide il figlio) a quella di Scilla (figlia che causa la morte del padre), per culminare nel caso di Clitemestra (non nominata, ma chiaramente identificabile nella terza strofe) assassina del marito, a sua volta assimilato a quello delle donne di Lemno (che sterminarono tutti gli uomini dellâisola).
Come ricordava Mario Praz allâinizio del quarto capitolo âdedicato a La belle dame sans merciâ de La carne, la morte e il diavolo,siffatti cortei di donne fatali sâincontrano nella letteratura di ogni tempo: e dunque "lo stasimo delle Coefore serve tuttâal pi͹ a mostrare come anche nellâantichitÍ classica il tipo potesse prodursi in tal copia da divenire ossessivo".4 Perché, allora, parlare qui soltanto di Lamia, Circe ed Empusa? Perché mi pare che queste tre femmes fatales costituiscano un trittico ben congegnato di medaglioni incastonati allâinterno di alberi genealogici segnati da vere e proprie âmaledizioni geneticheâ, i cui rami, intrecciandosi, lasciano riconoscere un fil rouge di mostruositÍ al femminile che nellâantichitÍ sembra collocarsi alle origini del male e scandirne la presenza nelle principali stagioni della vita umana.
Ma chi sono Lamia, Circe ed Empusa? A ripercorrere le tappe salienti delle loro biografie mitiche, si ͨ indotti a focalizzare subito lâattenzione su alcuni di quei tratti comuni che hanno reso queste figure in qualche caso sovrapponibili o addirittura intercambiabili: si tratta di donne che non sono donne, che sono dee e pure non lo sono, che sono mostri ma anche no, che sono crudeli e, a loro modo, non lo sono sino in fondo, che tentano a pi͹ riprese di obliterare la propria condizione di isolamento, geografico, fisico ed esistenziale, ponendo in campo i loro poteri metamorfici e seduttivi, nel disperato quanto vano anelito a superare quel destino di solitudine, rifiuto ed emarginazione nel quale le ha precipitate una spirale perversa e spesso insensata di malvagitÍ per recuperare una normalitÍ irrimediabilmente perduta. Ma questo preliminare ritratto ͨ evidentemente il frutto di una lettura âromanticaâ e âromanzataâ dei dati forniti dalla tradizione delle fonti greche e latine: lettura che finisce per adulterare i connotati identitari di questi tre personaggi, rendendoli fluidi, inafferrabili, talvolta contradditori, ancorché, per ciͲ stesso, affascinanti. Per sottrarsi, almeno inizialmente, a questa irresistibile âtentazione del maleâ, sarÍ dunque opportuno ricostruire le loro storie a partire dalle loro versioni pi͹ drasticamente razionalizzanti.
Nel caso di Lamia, sarÍ allora utile partire dalla dettagliata descrizione fornitane nel I sec. a.C. dallo storico Diodoro Siculo, che dedica numerosi capitoli del ventesimo libro della sua monumentale Bibliotheca Historica alla spedizione condotta, tra il 310 e il 307 a.C., dal tiranno siracusano Agatocle contro i Cartaginesi, spedizione nella quale inizialmente il dinasta siceliota coinvolse anche Ofella, governatore di Tolomeo a Cirene (salvo poi accusarlo di tradimento e ucciderlo): ebbene, in occasione della sosta di Ofella presso la cittÍ libica di Automala (agli estremi confini occidentali del territorio di Cirene), Diodoro si dilunga a narrare il mito di Lamia, bellissima regina libica, figlia di Belo, che, trasformatasi in un mostro dallâaspetto bestiale dopo la morte dei suoi figli, avrebbe preso a uccidere i figli delle altre donne, che invidiava disperatamente. Per motivare lâinserimento di questo ampio excursus mitografico nella ricostruzione dellâitinerario seguito in questa marcia da Cirene verso Cartagine, lo storico sottolinea che lâesercito cirenaico si era imbattuto nella caverna in cui si diceva che Lamia fosse nata (20.41.2-6).
Diodoro pone la ferocia della regina trasformatasi in mostro allâorigine del popolare utilizzo della sua figura come spauracchio per i bambini, e fa riferimento alla credenza popolare secondo cui Lamia, ubriaca, era solita riporre i propri occhi in un cesto, e dunque non vedeva quel che accadeva attorno a lei: forse nellâintento di spiegare unâespressione del tipo "Lamia aveva gettato gli occhi nel cesto", che avrÍ evidentemente assunto nel tempo una valenza paremiografica.5
La vicenda viene rievocata in termini analoghi anche in uno scolio al v. 758 della Pace di Aristofane, in cui il demagogo Cleone, target privilegiato della satira politica del commediografo, viene paragonato a un mostro immane e composito (un Cerbero "dai denti aguzzi, dai cui occhi, come da quelli di Cinna, folgoravano terribili saette, un Tifone con cento teste di serpenti-adulatori, voce di torrente rovinoso, puzzo di foca, luridi testicoli di Lamia e culo di cammello", vv. 754-758): ebbene, a proposito di Lamia, lo scoliaste fa riferimento allâamore tra Lamia e Zeus e alla gelosia di Era âben nota per le sue crudeli vendette nei confronti delle amanti del marito (esemplari i casi di Latona, Eco, Io) come causa delle sofferenze e delle mostruositÍ compiute della regina libica.
Rispetto alla tendenza razionalizzante del racconto diodoreo, che riduce lâestraibilitÍ degli occhi a una metafora dellâapatia provocata in Lamia dallâubriachezza, e dunque degli effetti di malgoverno prodotti dalle âinqualificabiliâ abitudini di questa regina africana, lo scolio aristofaneo dÍ maggior peso allâinfluenza degli interventi divini negli sviluppi della vicenda esistenziale di Lamia, e sembra conseguentemente fornire una visione âgiustificazionistaâ dei suoi comportamenti anomali: la sua bestialitÍ viene infatti umanizzata da un dolore immedicabile, che si traduce in una perenne insonnia âulteriore punizione inflittale da Eraâ che parrebbe diventare il movente della concessione fattale da Zeus di rimuovere i propri occhi per non guardare, non pensare, trovare insomma tregua al proprio tormento: visione confermata in un ulteriore, pi͹ breve, scolio a un altro passo aristofaneo, il v. 1035 delle Vespe, sul quale ͨ modellato verbatim il su menzionato passo della Pace, che ripropone appunto un Cleone-mostro contro cui il poeta-eroe, novello Eracle, combatte, ora e sempre. Lâaccento batte qui sulla metamorfosi di Lamia (da donna bellissima a mostro orribile), posta ancora una volta allâorigine del suo accanimento degenere nei confronti dei bambini.
Ma la lente deformante della commedia attica antica aveva accentuato ripetutamente i tratti pi͹ prosaici e meno romantici della sua mostruositÍ : se nei su citati passi delle parabasi di Vespe (v. 1035) e Pace (v. 758) di Lamia vengono evocati i sozzi testicoli, nellâambito di una articolata caratterizzazione mostruosa del demagogo Cleone, nella quale, come osserva Alan H. Sommerstein,6 sono implicate tre differenti insinuations about Cleon: lâaggressivitÍ , lâambiguitÍ sessuale denunciata dallâermafroditismo e la sporcizia, in un altro contesto delle Vespe (vv. 1176s.) Lamia diviene protagonista di racconti popolari in cui ormai dispensa odori molesti al fine di respingere chi la insegue e tenta di catturarla.7 Un tratto che ricompare nel prologo delle Ecclesiazuse dello stesso Aristofane, dove la figura di una Lamia pedens âche si riallaccia a una tradizione popolare per noi documentata da un frammento della Lamia del pi͹ antico commediografo Cratete (fr. 20 Kassel-Austin)â viene evocata dal nome del marito (Lamio) di una delle donne che tramano il colpo di stato ginecocratico.8
Í la crudeltÍ , comunque, il tratto ricorrente nel repertorio delle fonti tradizionali su Lamia: in genere la regina libica ͨ, per antonomasia, la strega che rapisce, uccide e divora i bambini, dove peraltro i termini greci ÏÏÏίγα, ÏÏÏίξ (e i corrispettivi latini striga, strix) si piegano, anche onotopeicamente, a richiamare la categoria degli strigidi,uccelli rapaci notturni che si credeva uccidessero i lattanti succhiandone il sangue o togliendo il latte alle mamme, o addirittura che si recassero di notte presso le culle per allattarli col loro sangue avvelenato.9 Nulla si salva di lei: a cominciare dal nome, "obbrobrioso per i mortali", come recita il distico, citato da Diodoro Siculo, del dramma satiresco intitolatole da Euripide (fr. 472m Kannicht), in quanto, nella sua stessa etimologia porta i marchi dellâisolamento, dellâefferatezza e della voracitÍ : nel lessico bizantino della Suda (λ 85 Adler) il nome di questo "mostro" (θηÏίον), ͨ ricondotto al sostantivo λαιμÏÏ, "gola", "apertura", "voragine", con evidente richiamo allâidea di voracitÍ ma anche agli abissi di una sessualitÍ eccessiva e smodata: alla medesima sfera semantica appartengono infatti il verbo λαιμίζÏ, "sgozzare", lâaggettivo Î»Î±Î¼Ï ÏÏÏ, "vorace", "profondo", "sfrontato", il sostantivo λαͿÏμα, che indica la profonditÍ del mare, e il sostantivo λαιμαÏγία, che designa al contempo "sfrontatezza" e "ingordigia".10
Da orchessa a femme fatale il passo ͨ dunque breve: e infatti Lamia, come la ebrea Lilith o la assira Lamashtu, ͨ creatura della notte, spesso con sembianze di uccello rapace o di mostro composito, che uccide i bambini ma che âcome ci informa il paradossografo Eraclito (De incredibilibus 34)â puͲ anche vagare alla ricerca di uomini adulti con cui avere rapporti sessuali, per poi ucciderli nel sonno, divorarli o succhiarne il sangue.11
Lamia ͨ infatti, comâͨ noto, protagonista di un altro dei capolavori di John Keats, lâultima delle sue ballate, a lei intitolata, la cui vicenda ͨ ispirata a un episodio, ricostruito daLucio Flavio Filostrato in un celeberrimo passo della sua Vita di Apollonio di Tiana (4.25): la storia di un seducente demone femminile, spietato divoratore di giovani uomini, che alletta alle nozze il giovane e inesperto filosofo Menippo di Licia, e che solo lâintervento del âsanto paganoâ Apollonio di Tiana riesce a smascherare.
Guardando lâipotesto filostrateo, in cui la protagonista viene derealizzata nella sua individualitÍ e ricondotta alla generalitÍ spersonalizzante di uno o pi͹ nomi comuni che la definiscono sprezzantemente come uno dei âfantasmiâ (μία ÏÍ¿¶Î½ ͼμÏÎ¿Ï ÏÍ¿¶Î½ â¦ Í¼Ï Î»Î±Î¼Î¯Î±Ï Ïε καͽ¶ μοÏÎ¼Î¿Î»Ï ÎºÎ¯Î±Ï Î¿Í¼± Ïολλοͽ¶ ͼ¡Î³Î¿Í¿¦Î½Ïαι) in cui sâincarnano potenze tradizionalmente assegnate al male dalla tradizione, risulta subito evidente âcome osserva Silvano Sabbadiniâ12 lâinnovazione keatsiana che fa di"Lamia" unâindividualitÍ romanticamente assoluta e irripetibile, un groviglio inestricabile di bellezza e crudeltÍ , di dolore e inganno: "a gordian shape", una "forma gordianaâ, come Keats la definisce al v. 47, "con la testa di un serpente, sͬ, ma di amara dolcezza" (v. 57), che, "toccata dal dolore, pareva a volte un elfo pentito, altre volte lâamante di un demone, o il demonio stesso" (vv. 54-56), e che sollevava la sua "Circean head", la sua "testa di Circe" (v. 115), supplicando Ermes di farle recuperare quella forma femminile perduta che le consentirÍ di amare ed essere riamata da Licio. Siffatte accumulazioni ossimoriche suscitano una ulteriore, ovvia riflessione: Lamia ed Empusa, come altre loro âconsorelleâ minori (Brimó, Gelló, Mormó, Gorgó, Mormolykͪ e varie altre, con le loro eventuali reduplicazioni, mormones, gorgones, mormolykai, lamiai, empousai), e come la stessa Circe, vengono spesso percepite come emanazioni del demoniaco femminile tout-court, le cui sorti finiscono spesso per confondersi e intersecarsi, quando non sovrapporsi del tutto.13
Tanto pi͹ colpisce, questa circostanza, quando la si registri per esseri la cui natura ͨ geneticamente e ontologicamente distante da quella dei mostri infantili o infernali, quali sono ad esempio le Sirene e quale ͨ Circe. Figura enigmatica, quella di Circe: comâͨ stato rimarcato anche di recente, "nel racconto omerico Circe ͨ quantomeno ambivalente come i phÍrmaka di cui ͨ abile preparatrice. Í una figura complessa e cangiante, che trasforma e si trasforma; che ͨ maligna e poi benigna, che droga e poi rigenera, umilia ed esalta, ostacola e aiuta, trattiene e accompagna".14
Molteplici, anche in questo caso, le etimologie connesse dagli antichi al suo nome: dallâallegoresi neoplatonica, che riconduce il suo nome al termine κίÏκοÏ, "cerchio", ravvisando nella dea il simbolo del ciclo vitale delle rinascite15, allâerudizione bizantina, che riconduce il suo nome al verbo κίÏνημι/κιÏνάÏ, "mescolare" o al sostantivo κεÏκίÏ, "telaio" (cf., e.g., Suda κ 1662 Adler): due aspetti che sin dallâinizio del X canto dellâOdissea ne connotano la presentazione. Ai compagni di Odisseo, approdati e mandati in avanscoperta sullâisola di Eea, "Circe dai bei riccioli", la "dea tremenda con voce umana (ÎίÏκη εͽÏλÏκαμοÏ/ δεινή θεͽ¸Ï αͽδήεÏÏα)" (vv. 135s.), appare infatti intenta a tessere una grande tela e a eseguire un bel canto (vv. 226-228). Senza che sia possibile capire se si tratti di donna o di dea (ͼ¢ θεͽ¸Ï ͼ ͽ² Î³Ï Î½Î®, v. 228), ella li attira allâinterno della sua dimora invitandoli a sedere e prepara loro un impasto di formaggio, farina, miele e vino di Pramno: ingredienti ai quali "mescola" ÏάÏμακα Î»Ï Î³Ïͽ°, "veleni funesti", per ottenere quel kykeón, quella magica pozione che farÍ loro dimenticare il ritorno (vv. 233-236). Con questo espediente, la maga, giÍ descritta come capace di ammansire con i suoi filtri fiere tremende (vv. 212s.), riuscirÍ a trasformare quegli uomini in un branco di suini (vv. 230-243), che si ritroveranno poi rinchiusi a grugnire e a piagnucolare in un porcile.
Anche Circe, tuttavia, come Lamia, presenta un cÍ´té pi͹ umano, ed ͨ lo stesso Omero a delinearlo: ai vv. 302-347, raggiunto a sua volta il palazzo di Circe, Odisseo, dopo aver incontrato Hermes e aver bevuto il mÍ´ly come antidoto ai poteri malefici della dea-maga, riesce a sua volta ad âammansirlaâ, a renderla una donna, che, come donna, tenta persino di sedurlo, riuscendoci solo dopo aver promesso, "con solenne giuramento (vv. 378-399)"la ritrasformazione e la liberazione dei compagni.16 Circe ͨ ora un nume luminoso, dona ai compagni di Odisseo unâimponenza e una bellezza nuove, e, soprattutto, prova pietÍ per loro e se ne prende cura(vv. 449-469)! Arriva persino a vestire Odisseo di un mantello e di una tunica e a indossare ella stessa un mantello, una cintura e uno scialle sul capo (vv. 542-545), raggiungendo la pura beltÍ di una ninfa: recuperato ormai un rapporto positivo con lâelemento maschile, la maga esibisce un nuovo look, che moltiplica i segni della sua charis: insomma, comâͨ stato osservato, questa donna ͨ ora "rieducata al paradigma di Penelope"17. Ed ͨ appunto Circe, comâͨ noto, a fornire ai reduci da Troia, dopo averli trattenuti presso di lei per un anno, al pari e ben prima dellâindovino Tiresia, indicazioni utili al ritorno in patria18.
E come benefattrice Circe appare agli occhi degli stessi compagni di Odisseo in un opuscolo dei Moralia di Plutarco dedicato a Le virt͹ degli animali (985d-992e), i quali, per bocca di uno di loro, che porta il nome parlante di Gryllos (onomatopeico da gry, che designa il grugnire dei suini), rimproverano al loro capo di volerli convincere a lasciare al vita beata che essi trascorrono come porci e a tornare uomini, "lâanimale che pi͹ fatica e pi͹ pena al mondo" e a salpare con lui. Apprendiamo dalle sue parole che la vita sullâisola di Circe non ͨ niente male, e che anzi, lungi dallâessere una disgrazia inflitta dalla dea, quella metamorfosi si ͨ rivelata per loro una fortuna: chi ha sperimentato entrambe le condizioni puͲ con certezza affermare che la condizione animale ͨ di gran lunga preferibile a quella umana!
E, per restare nella sfera del paradosso, come a Lamia e, vedremo, a Empusa, anche a Circe lâuniverso comico apre le sue porte: nella parodo del Pluto di Aristofane, Carione, il servo del protagonista âlâanziano Cremilo intenzionato a far recuperare la vista al cieco dio della ricchezzaâ si paragona proprio alla maga, con un parodico rovesciamento nel quale si possono riconoscere "le prime tracce di unâinterpretazione allegorica dellâepisodio di Aiaie".19 Aristofane allude alle disavventure erotiche di quel tale Filonide, noto per essere uomo sgradevole ma molto ricco,20 soggiogato, a Corinto,21 da una prostituta di nome Laide.22 Ebbene, nel canto amebeo in cui si consuma lâalterco tra Carione e il coro di anziani, restii a collaborare allâiniziativa di Cremilo, gli scabrosi intercorsi tra Odisseo-Filonide e Circe-Laide divengono riferimenti esemplari su cui costruire le rispettive minacce (vv. 302-315). Comâͨ stato osservato, la concisa allusivitÍ della scena presuppone che il commedigrafo si appoggi a una tradizione giÍ nota allâuditorio, in nome della quale "le azioni di Circe âil suo avvelenare col pharmakon prodigioso che induce lâoblio e il suo operare la metamorfosiâ erano da leggere come incantamenti erotici di una prostituta, capaci di soggiogare di desiderio gli uomini improvvidi e ridurli cosͬ in uno stato di soggezione umiliante, simboleggiata dalla scatofagia del maiale".23 Si immagina, infatti, che le vittime di questa Circe-meretrice provino piacere ("e voi, grugnendo di voluttÍ (γÏÏ Î»Î¯Î¶Î¿Î½ÏÎµÏ Í½Ïͽ¸ ÏιληδίαÏ", v. 307) a mangiare focacce di escrementi preparati da lei con le sue mani, abili a âimpastareâ. Dinanzi a una siffatta degradante prospettiva, il coro minaccia a sua volta di reagire con violenza, come fece il Laerziade Odisseo: appendendo per i testicoli quella Circe "che mescola pozioni e, con i suoi incantesimi, trasforma in porci i suoi compagni (Ïͽ´Î½ ÎίÏκην Ïͽ´Î½ Ïͽ° ÏάÏμακ;½ Í¼Î½Î±ÎºÏ ÎºÍ¿¶Ïαν / καͽ¶ μαγγανÎÎ¿Ï Ïαν μολÏνοÏαάν Ïε ÏοͽºÏ ͼÏαίÏÎ¿Ï Ï, vv. 309 sg.)" âil che, al netto dellâimmediato riferimento al sesso maschile dellâantagonista, attesta peraltro una inedita connotazione ermafroditica della maga!â e turandole il naso con lo sterco, come a un caprone (vv. 312-314).
Se Lamia ͨ una madre sfortunata, sfigurata e incattivita dal dolore per la perdita dei propri figli, e Circe ͨ una dea dimidiata, e alla fine soggiogata dallâuomo che riesce a sottrarsi ai suoi incantamenti,24 Empusa ͨ un fantasma femminile che emerge dallâAde, probabilmente spinto da Ecate âdivinitÍ degli Inferi, ma anche nume tutelare di strade, trivi e crocicchi,25 dea notturna dei cicli lunari, ma anche maga esperta nella preparazione di veleni mortaliâ26 a nutrirsi di sangue umano. Empusa ͨ infatti la vampira per antonomasia dellâantica Grecia: una delle etimologie popolari dei Greci riconduceva del resto il suo nome ânome forse anche scenicamente parlanteâ27 al verbo ͼμÏίνÏ, "succhiare, tracannare", con chiaro riferimento al sangue (cf. e.g. Suda ε 1049 Adler). Ma dâaltra parte unâulteriore paretimologia (cf. e.g. Esichio ε 2507 Latte) riconduce il suo nome al verbo ͼÏιÏÎμÏÏ e al ruolo di âmandanteâ assolto nei suoi confronti da Ecate, cui appunto Empusa ͨ emissaria, inviata sulla terra come foriera di morte: non a caso, nelle Ecclesiazuse di Aristofane, ai vv. 1055-1057, a Empusa ͨ assimilata una delle Vecchie libidinose che anelano alle attenzioni sessuali del Giovane, descritta come una megera col volto ricoperto di pustole sanguinanti.28
E con Ecate Empusa viene talvolta confusa e identificata: come mostra ad esempio un frammento dei Friggitori di Aristofane (515 Kassel-Austin), in cui un personaggio ironizza sulla descrizione terrifica che di Empusa ha dato il suo interlocutore, scambiandola per Ecate: evidentemente "sulla scena non câͨ Ecate ma solo una sua sottoposta, molto meno pericolosa".29
Ma al ridimensionamento comico-grottesco, e alla conseguente umanizzazione di questo phasma infernale, "del cui nome âafferma Arpocrazione (Lexicon in decem oratores Atticos I, p. 112 Dindorf = p. 93 Keaney)â la commedia ͨ piena"â30 avrÍ contribuito in maniera decisiva la celebre scena della catabasi delle Rane di Aristofane.
Deciso a scendere nellâAde per riportare ad Atene lâamato tragediografo Euripide, il dio del teatro Dioniso, opportunamente istruito dal fratello Eracle âartefice della celebre cattura del cane infernale Cerberoâ sui pericoli da affrontare (tra cui appunto mostri e fantasmi) e dotato del suo travestimento, si fa accompagnare dal servo Santia, il quale, prima di lui, si imbatte nella visione di Empusa, e ne descrive le molteplici mutazioni metamorfiche (vv. 285-305). Tale apparizione, che repentinamente svanisce per dar poi seguito al coro degli Iniziati ai Misteri Eleusini (vv. 316-459), ͨ stata da pi͹ parti intrepretata come una rivisitazione comica di rituali di iniziazione religiosa, che prevedevano ci si misurasse con phasmata terrificanti, col ruolo di ostacolare simbolicamente il cammino degli spiriti nellâaldilÍ :31 questa sarÍ evidentemente lâorigine di unâulteriore etimologia popolare (cf. e.g. schol. rec Ra. 293a Chantry; Etymologicum Magnum p. 336.39 Gaisford), che riconduce il nome di Empusa al verbo ͼμÏοδίζειν ("ostacolare", "impedire").
Empusa appare a Santia come uno shape-shifter, un demone tremendo che assume con estrema rapiditÍ forme varie: gli sembra di vedere ora un bue, ora un mulo, ora una donna bellissima, ora infine un cane, per giunta col volto infuocato (ÏÏ Ïͽ¶ γοͿ¦Î½ λάμÏεÏαι / ͼ Ïαν Ïͽ¸ ÏÏÏÏÏÏον, vv. 293s.); e a Dioniso, che domanda se abbia una gamba di bronzo, Santia ribatte positivamente, precisando che lâaltra ͨ di sterco di vacca (vv. 285-296).
Donna bellissima, bue, mulo, cane: nessuna delle forme metamorfiche qui evocate ͨ casuale. Partiamo dallâultima: il cane. Animale infernale per antonomasia,32 il cane ͨ una delle presenze canoniche nella caratterizzazione iconografica di Ecate e del suo corteggio, e, come tale, convenzionalmente evocata in sacrifici di purificazione e riti di passaggio;33 e topico nelle evocazioni letterarie della dea infernale ͨ lâululare notturno dei cani alla luna: nella Medea di Seneca (vv. 840-842), ad esempio, la protagonista fa riferimento ai baldanzosi latrati Ecate; 34 e con analoghi ululati, nella catabasi virgiliana di Enea le cagne del corteggio di Ecate salutano lâarrivo dellâeroe nellâAde (Eneide VI, vv. 257 sg.). Ma mi piace richiamare un altro passo della su citata Vita di Apollonio di Tiana, in cui Filostrato descrive lâattacco notturno subͬto da Apollonio e dai suoi compagni in viaggio verso il fiume Indo come lâaggressione di una Empusa (nella quale lâesegesi cristiana riconoscerÍ una manifestazione del demonio) al chiarore della luna (II 4), la quale, messa in fuga dai loro insulti, fugge via "stridendo (ÏεÏÏιγÏÏ)".
Delle altre due metamorfosi animali quella in mulo ͨ di certo la pi͹ significativa, perché in qualche modo connessa alla deformitÍ articolare evocata da unâaltra paretimologia che pone il nome di Empusa in rapporto alla monopodia (ͼνίÏÎ¿Ï Ï): alcuni scolii (vet Ar. Ra. 294, rec Ra. 293a Chantry) descrivono Empusa come monopoda (μονÏÏÎ¿Ï Ï) e gambasinina (ͽνÏκÏλοÏ); e altre tradizioni erudite (confluite in particolare nel commento del bizantino Tzetzes alle Rane: vd. schol. Tz Ra. 293 Koster, con tutte le ulteriori testimonianze raccolte e discusse da Koster ad locum) attestano, in rapporto a tale deformitÍ , nomi alternativi aͼμÏÎ¿Ï Ïα, quali ͼνίÏÎ¿Ï Ïα e ͼνιÏκελίÏ. Il mulo ͨ peraltro lâanimale ibrido per eccellenza, e per giunta un Ïοίημα ⦠ÏÏÎ»Î¼Î·Ï Í½¡Ï ͼν εͼ´ÏÎ¿Î¹Ï Î¼Î¿Î¹ÏÎ¹Î´Î¯Î¿Ï (Eliano, Storia Naturale 12.16), "vale a dire che ͨ il frutto di una sorta di moicheia. O meglio ͨ frutto di una violenza occasionale che, studiata e riprodotta dagli uomini, viene trasformata in qualcosa di simile ad un"adulterio".35 Attingendo non a caso proprio alla scena delle Rane Luciano, nella Storia vera (II.46-47), costruiva il suo mito di mostruositÍ seduttiva al femminile descrivendo una popolazione di donne, le Onoskeleai, abitanti unâisola chiamata Cabalusa, che uccide gli uomini nel sonno dopo averli sedotti e fatti ubriacare, e che hanno un tratto mostruoso, ossia un piede dâasino. Né sarÍ casuale che le onoskelides divengano poi nella letteratura cristiana non meglio definiti demoni femminili portatori di incanti seduttivi che lâuomo deve tenere lontano da sé (cf. e.g. Giovanni Crisostomo, In infirmos 326). E appunto ͽνοÏÎºÎµÎ»Î¯Ï e ͽνÏκÏλον (o anche, in alcuni manoscritti, ͽνοκÏλίÏ/ͽνοκÏλαία) sono ulteriori nomi alternativi a Empusa menzionati nel su citato commento di Tzetzes alle Rane. Va peraltro rilevato che nella scena delle Rane la deformitÍ articolare di Empusa ͨ accentuata dalla peculiaritÍ delle due gambe diverse: una di bronzo, lâaltra di sterco bovino. E se la gamba di bronzo, riconducibile alla caratterizzazione âctoniaâ della Erinni ÏαλκÏÏÎ¿Ï Ï offerta da Sofocle nellâElettra (vv. 489-91), puͲ essere qui "the embodiment of heaviness, coldness, uselessness and powerlessness [â¦], antithetical to the noble, âolympianâ metal gold",36 quella di sterco puͲ, come alcuni scolii autorizzano a ritenere (vet Ra. 295b-c,rec Ra. 295b Chantry), evocare anche "a donkeyâs dung, possibly because Empusa was called onokolos".37
Quale il bilancio di questo excursus? Un primo dato che emerge con chiarezza ͨ che per la donna nel mondo antico quella del male non ͨ pratica gratuita né fonte di piacere, ma piuttosto unâautocondanna: Alla dimensione della gratuitÍ si oppone quella eziologica: come dimostra in primis lâinfluenza della componente genealogica nelle vicende che associano queste tre figure alla sfera del mostruoso e del cruento. Se Empusa finisce per identificarsi con la stessa Ecate, di cui giunge a essere considerata unâemanazione metamorfica,38 alcune fonti fanno di Lamia la nipote di Posidone âche, padre di molti celebri mostri (uno per tutti, il ciclope Polifemo), lo sarebbe stato anche di suo padre Belo (cf. Apollodoro, Biblioteca II 1.4, III 1.1) âquando non la sua stessa figlia (cf. Plutarco, Oracoli della Pizia 9 [Mor. 398c], Pausania X 12.1 e Clemente Alessandrino, Stromati I 15.70, i quali la ricordano peraltro anche come madre della prima Sibilla). Quanto a Circe, sorella del crudele Eeta, re di Eea, lâisola del Mar Nero al centro della Colchide, ossia della terra del vello dâoro, e padre di Medea e di Pasifae (la genitrice del mostruoso Minotauro), una tradizione testimoniata per noi da Diodoro Siculo (Biblioteca Storica IV 45.3) ne fa la figlia di Eeta (e dunque sorella, piuttosto che zia di Medea) e della terribile Ecate, che la maga avrebbe superato nellâinvenzione di veleni e pozioni dai poteri portentosi, con lâaiuto dei quali avrebbe ucciso sinanco suo marito, il re dei Sarmati, per prenderne il potere e perpetrare una condotta talmente spietata nei confronti dei sudditi da vedersi costretta a fuggire e a spostarsi in Italia, sul promontorio del Circeo. "Basta dunque lâaccenno allo stemma familiare di Circe per immaginare cosa rischi il gruppo di compagni giunto alle porte del palazzo della dea".39
Ma ci sono cause ulteriori di questo male âal femminileâ, un male che potremmo definire un male âprimarioâ, del tutto alieno, cioͨ, da componenti psicologiche? Í evidente che la malvagitÍ di Lamia, Empusa e Circe non ͨ soltanto il portato di una maledizione genetica, bensͬ anche una forma di autodifesa, se non di rivalsa, dovuta allâimprescindibile reclusione nella sfera della mostruositÍ : mostro, del resto, non ͨ soltanto un essere di grandi dimensioni, terrifico, malevolo o selvaggio o straordinariamente forte, ma anche ogni creatura dellâimmaginazione in cui convergano, estremizzate, quelle polaritÍ fondanti della nostra simbolica antropologica, culturale e morale (umano/animale, mortale/immortale, maschile/femminile, bene/male, vittima/carnefice, normalitÍ /deviazione) che veicolano incoercibili quanto sfuggenti dinamiche tra opposte pulsioni psichiche, e che determinano, ad esempio, la lacerante dialettica tra paure o tab͹ ancestrali e desiderio di conoscenza, di scoperta e di libertÍ , tra senso di colpa e volontÍ di punizione. Il trait dâunion di tutte queste e delle molte altre possibili definizioni della mostruositÍ Í¨ la dimensione dellâalteritÍ : Lamia, donna bellissima deprivata della maternitÍ , procede allâautocastrazione e allâautoesclusione togliendosi gli occhi, e priva a sua volta le altre madri dei loro bambini rapendoli per divorarli; Circe, dea bellissima circondata da strane fiere che ammansisce con i suoi filtri, anche lei autocastratasi con lâannientamento di tutti gli uomini (se non giÍ con lâuccisione del suo sposo), e poi, di volta in volta trasformati in porci o in altri strani animali, vede a sua volta castrato ogni tentativo di ridiventare donna; la pur bellissima Empusa, nella sua mostruositÍ proteiforme, presenta una (sola) gamba (o piede) dâasino ovvero due gambe differenti: segno inequivoco di deambulazione asimmetrica, e dunque di disturbante e non accettabile disarmonicitÍ .40
Ne consegue un destino comune di isolamento e liminalitÍ : anzitutto di tipo fisico e geografico. Da Diodoro Siculo apprendiamo che Lamia ͨ nata in una caverna, collocata su "una rupe spoglia e protesa in un picco eretto" (Biblioteca Storica 20.41.2), e dunque difficilmente accessibile. Fondamentale, per questa sua condizione di isolamento ͨ poi la parentela con Belo: dalle fonti antiche sappiamo infatti che oltre al Belo re della Libia,41 della quale Lamia ͨ figlia, esisteva un Belo re di Tiro, un Belo re di Lidia, un Belo sovrano persiano e un Belo re dâEgitto: che ͨ poi quel Belo padre di Danao e dunque capostipite della stirpe delle Danaidi, le quali uccisero i loro mariti durante la prima notte di nozze! Il nome di Belo finisce cosͬ, nel tempo, per evocare genealogie esotiche, e per i Greci lontane dalla civiltÍ .42 Lâemarginazione, fisica e geografica nasce dalla spiccata propensione di queste creature al metamorfismo, in una perenne oscillazione tra due estremi âdalla straordinaria bellezza alla repellente mostruositÍ â che ha effetti dirompenti sulle dinamiche relazionali col mondo esterno. La fisicitÍ di Circe ͨ lâunica a non discostarsi dai canoni convenzionali della bellezza femminile. Eppure Circe si circonda di animali strani, mostruosi, alcuni dei quali sporchi, come i porci, altri sovradimensionati, paurosi e infernali, quali gli orsi, i cani e i lupi, nellâOdissea, e nelle Argonautiche (IV 661-684)addirittura considerate frutto di un miscuglio di primordiali antenati delle bestie a noi note:43 qualunque cosa siano, questi esseri, ammansiti dai filtri magici di Circe, scodinzolano in maniera circense, ͨ proprio il caso di dire, e la seguono ovunque: e dunque in qualche modo âprotraggonoâ e attraggono verso la propria bestialitÍ i confini della fisicitÍ della maga.
A dispetto della condizione di isolamento in cui Lamia, Circe ed Empusa trascorrono la maggior parte dellâesistenza, non ͨ loro preclusa lâopportunitÍ di valicare i confini di questo status ed entrare in contatto con lâuniverso della ânormalitÍ â. E sono proprio i tratti liminali della loro natura ad aprire un varco privilegiato verso un mondo in cui questi esseri âstraordinariâ non risultano ben accetti e da cui poi sono costretti a fuggire âstridendoâ come la Lamia-Empusa intercettata da Apollonio, o a ritrarsi e ridimensionarsi rieducandosi al paradigma di Penelope, come la Circe omerica, o a vendicarsi, come la Circe protagonista di due celebri episodi delle Metamorfosi ovidiane,44 "donna innamorata e offesa" dal rifiuto dellâuomo amato, o come fanno, mutatis mutandis, altre femmine maledette del mito (una per tutte, Medea).
Mogli e madri mancate, Lamia, Circe ed Empusa tentano ripetutamente di reinserirsi nei canoni convenzionali di quella femminilitÍ perduta. Ebbene, proprio il fallimento dei loro tentativi, unitamente, si ͨ visto, allâelemento genealogico, ͨ alla base delle efferatezze che esse compiono nei confronti del mondo ânormaleâ, in particolare dellâuniverso maschile. Si potrebbe affermare, con un paradosso, che esse conservano uno statuto partenico obbligato, e si condannano a un destino di esclusione che si consolida ovviamente anche nella dimensione del âsocialeâ: come scrive Giulia Sissa anche una donna "il cui corpo conosce bene il rapporto sessuale e anche la gravidanza, rimane tuttavia una parthͨnos [â¦].45 Essa diventa donna, gynͨ, solo nella relazione matrimoniale, in quanto gynͨ di suo marito".
In tal modo il mito sembra avere, come ha riconosciuto Sarah Johnston,46 unâimportante funzione normativa, veicolando il messaggio che la vita di una donna greca si definiva attraverso la maternitÍ e che una donna priva (o privata) dei figli entrava nel mondo oscuro e marginale del demoniaco, dove, appunto, si aggirano i restless dead, le âanime in penaâ di coloro la cui esistenza non ha trovato pieno compimento, e che, dalle porte dellâAde, si muovono in un perenne up and down tra mondo degli Inferi e mondo terreno.
Il potere di queste horridae mulieres stravolge dunque gli equilibri dei tradizionali rapporti di genere, delle canoniche interazioni nella dialettica tra i sessi nelle fasi liminali della vita dellâuomo: Lamia minaccia il bambino nei suoi primi anni di vita; Circe accoglie lâuomo adulto in viaggio e in cerca di un approdo, ma per fagocitarlo in una vita-non vita. Empusa ͨ la donna-cagna dellâAde, âinviataâ da Ecate a prelevare gli uomini attraendoli a sé con le arti della seduzione, salvo poi a ostacolare, con terrificanti prove dâiniziazione, il definitivo transito delle loro anime nellâaldilÍ .
Il rovesciamento di ruoli che ne consegue ͨ inquietante e inaccettabile: nel nuovo ordine, lââattaccoâ diventa prerogativa femminile e la difesa tocca invece allâuomo: una difesa che rischia di tradursi in una poco onorevole resa.
Notas
* Olimpia Imperio es Profesora Ordinaria de Lengua y Literatura Griega en la UniversitÍ degli Studi âAldo Moroâ de Bari, Italia. Sus investigaciones se han concentrado en el drama Ítico y la recepción de la cultura clÍsica. Entre sus publicaciones mÍs importantes se encuentran Parabasi di Aristofane. Acarnesi, Cavalieri, Vespe, Uccelli (2004), Aristofane tra antiche e moderne teorie del comico (2014), y varios artículos sobre la imagen de Odiseo en la tragedia griega, la mÍscara del intelectual en la comedia griega, la figura del médico en la tradición cómica antigua y moderna, el Aristófanes de Richard Porson, el papel del coro en el útimo Aristófanes y en la comedia del siglo IV a.C., los coros de animales en la comedia griega, las personificaciones del arte poética y las metÍforas parentales en la comedia griega, el conflicto generacional en el teatro cómico y trÍgico del siglo V a.C., la sÍtira política en el Dionisalejandro de Cratino, y los testimonios de los cómicos en la biografía plutarquea de Pericles. Actualmente tiene en prensa el volumen La commedia greca. Origini, storia, rinascite, por la Editorial Salerno, y en preparación, en el Ímbito del proyecto KomFrag: Kommentierung der Fragmente der griechischen KomͶdie, auspiciado por la Heidelberger Akademie der Wissenschaften y dirigido por Bernhard Zimmermann, dos volͺmenes de texto crítico, traducción y comentario de fragmentos de alguna de las comedias perdidas de Aristófanes
1 Lett. "lâamore senza amore (ͼÏÎÏÏÏÎ¿Ï Í¼ÏÏÏ)": vd. nota successiva.
2 Ma anche "lâamore femminile che domina [scil. sullâuomo]": potente, qui, lâambiguit dellâhapax Î¸Î·Î»Ï ÎºÏαÏͽ´Ï e dellâintera espressione Î¸Î·Î»Ï ÎºÏαÏͽ´Ï ͼÏÎÏÏÏÎ¿Ï Í¼ÏÏÏ. In generale, per una discussione dei principali problemi critico-esegetici di questa Priamel e per una complessiva interpretazione dellâintero corale in cui essa ͨ inserita, rinvio a Sevieri (2004: 158-188).
3 Cf. Gould (1980: 55).
4 La citazione ͨ tratta dalla seconda edizione di M. Praz (1999: 165 y sg.).
5 Lo ipotizza Landucci Gattinoni (2008: 161-175 vd. in particolare 163).
6 Sommerstein (ed.) (20052 , 1985: 169).
7 Cf. Sommerstein (1983: 224).
8 Per una pi͹ dettagliata esegesi del passo delle Ecclesiazuse rinvio a quanto ho argomentato in Imperio (2014: 77-92).
9 Per ampi excursus sulla storia di questi vocaboli nel folklore greco-latino vd. Cherubini (2010, passim); e, pi͹ in generale, sulla diffusione di queste credenze nelle culture popolari antiche e moderne vd. Beccaria (20002: 211-215).
10 Osserva Cusumano (2006: 228): "Essere mangiati invece che mangiare: in unâetÍ (quella infantile) in cui la funzione alimentare svolge un ruolo primario, incanalando affetti, relazioni ed esperienze di conoscenza la minaccia di essere divorati costituisce una fantasia destabilizzante, di cui tanto il destinatario che il narratore possono percepire, se non proprio comprendere, tutta la profonda carica di ambivalenza, di tensione in equilibrio tra fascinazione e repulsione".
11 Vd., tra altri, Russell (1989: 105s). In generale, per una ricognizione dettagliata delle testimonianze della letteratura greco-latina su Lamia vd. GonzÍles Terriza (1994: in particolare: 317-339), e per una loro valutazione complessiva: GonzÍles Terriza (1998: 191-196).
12 Silvano Sabbadini (1996: 15 y sgs.).
13 Tali intersezioni sono ben evidenziate ad esempio da Johnston (1995: 361-387), e da Stramaglia (1999 en el terzo capitolo), dedicato al motivo de la morte amoreuse nella letteratura greco-latina.
14 Franco (2010: 27).
15 Vd. Franco (2010: 108).
16 Sulle implicazioni di tale giuramento, da non interpretarsi banalmente come una deminutio della maga nei confronti di Odisseo, vd. le considerazioni di McClimont (2008: in particolare 23 sg.).
17 Cerchiai (2007: 144).
18 Vd., al riguardo, le considerazioni di Franco (2010: 83-85).
19 Vd. Franco (2010: 94).
20 Cosͬ lo dileggiano vari commediografi di quinto-quarto secolo a.C.: cf. Platone comico fr. 65.5s., Teopompo fr. 5, Nicocare, fr. 4, Filillio, fr. 22 Kassel-Austin.
21 Emblematico che le perverse attivitÍ di questa Circe comica vengano ambientate in quella cittÍ di Corinto dove abbiamo visto operare anche Lamia-Empusa e che dai Greci era considerata la Mecca del sesso (fiorente era in tutta a Grecia il commercio di etere provenienti da questa cittÍ , e noti in tutta la Grecia i rituali di prostituzione sacra che si svolgevano nel tempio di Afrodite Corinzia: cf., tra altri, Salomon (1984: 398-400); ma per un radicale ripensamento delle testimonianze antiche al riguardo e delle loro moderne interpretazioni vd. ora Budin (2008).
22 Lo si ricava, oltre che dagli scolii (vet 303bα, rec 303c Chantry a questo passo, anche dallâesplicito riferimento che agli intercorsi tra Filonide e Laide Aristofane fa giÍ al v. 179, oltre che da un frammento della perduta orazione lisiana Contro Filonide (fr. 245 Sauppe), dove perͲ la cortigiana corinzia porta il nome di Naide (cf. anche Aristofane fr. 179 Kassel-Austin).
23 Franco (2010: 95).
24 Emblematico quanto afferma in proposito Plutarco in un altro dei suoi Moralia, dedicato alle virt͹ coniugali (Precetti coniugali 5 [Mor. 139a]), su cui vd. ancora Franco (2010: 98).
25 Tra le varie paretimologie popolari o autoschediastiche del nome di Empusa, Andrisano (2002: 274) richiama lâattenzione su "lâequazione *εμÏονÏjα = ͼνοδία (epiteto di divinitÍ , le cui statue erano poste ai crocicchi delle strade)", ora in "Annali online dellâUniversitÍ degli Studi di Ferrara. Sezione di Lettere" suppl. a 2.2 (vol. speciale: Animali, animali fantastici, ibridi, mostri) [pp. 21-44], p. 22.
26 Per tutte le testimonianze al riguardo vd. Waser (1905: 2540-2543); e, pi͹ di recente, si veda anche la ricognizione delle testimonianze letterarie proposte alle pp. 985-988 della voce Empusa curata da H. Sarian (1992: 985-988).
27 In questa direzione si muovono le ricostruzioni proposte da Andrisano nel contributo citato supra (n. 25) e da Lietti ( 2014: 45-72).
28 Su questa scena vd. GonzÍlez Terriza (1996: 261-300).
29 Arata (2008: 15).
30 E dal mondo della commedia Demostene, nellâorazione Sulla corona, avrÍ tratto ispirazione per la pesante insinuazione sulla madre del suo acerrimo nemico Eschine, la quale "lo sanno tutti, era chiamata Empusa evidentemente per il fatto che faceva e si faceva fare di tutto" (130).
31 Vd. almeno i contributi di Borthwick (1968: 200-206) e di Brown (1991: 41-50).
32 Per entrambi questi aspetti vd. in dettaglio Mainoldi (1984: 37-51, 51-59).
33 BasterÍ segnalare, a titolo esemplificativo, la scena infernale dipinta su una lekythos funeraria a figure nere (Atene, Museo Nazionale 19765), risalente agli anni Settanta del quinto secolo a.C., in cui Ecate fronteggia tre Erinni mentre due cani azzannano lâeidolon di un mortale (cf. LIMC VI I, p. 996 nr. 95).
34 E non sarÍ un caso che, nelle Metamorfosi di Ovidio (XIV 397-425), anche Circe, oltre a spargere veleni e succhi mortali per difendersi dagli insulti e dallâaggressione dei compagni del re latino Pico, da lei trasformato per gelosia in un picchio (vd. infra, n. 45), invochi la Notte e tutte le divinitÍ del suo corteggio perché vengano dallâErebo e dal Caos in suo aiuto, e preghi Ecate longis ululatibus, per poi procedere a trasformare anche quei giovani, con la sua virga venenata, nelle fiere pi͹ disparate.
35 Causi (2008: 75).
36 Sommerstein (1996: 180 sg.) Per la connotazione âctoniaâ del bronzo vd. Dieterich (1891: 42-44).
37 Dover (1993: 230).
38 Cosͬ in uno scolio ad Apollonio Rodio, Argonautiche III 861, p. 242 Wendel: vd. Buxton (2009: 173).
39 Franco (2010: 3).
40 La zoppia ͨ del resto connessa alla sfera del demoniaco: "ͨ credenza popolare diffusissima che il diavolo zoppichi", Beccaria (20002: 142).
41 Cf., e.g., Erodoto I 7.3; Ovidio, Metamorfosi IV 213; Servio ad Verg. Aen. I 642 (I, p. 185 Thilo).
42 Come annota Johnston (1995: 379), "all that 'Belus' tells us about Lamia [â¦] is that the Greeks wanted to situate her outside their realm of"normal" civilization".
43 Cf. Hunter (1993: 165).
44 Quello di Glauco, rivoltosi a lei perché facesse innamorare di lui la ninfa Scilla, che Circe trasforma invece, per gelosia, nel celebre mostro associato a Cariddi (Metamorfosi XIV 51-74), e quello di Pico Laurentino, giovane re latino che, fedele alla ninfa Canente, la rifiuta, e che lei, per punizione, trasforma in un picchio (Metamorfosi XIV 320-434).
45 Sissa (1992: 67).
46 Johnston (1999: 169-183).
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